Simposio “Dall’ autismo alle malattie rare”

Sabato 25 gennaio 2020 – Sala Riunioni Croce Verde, Viareggio
Il simposio, organizzato dalla Fondazione T.I.A.M.O. (Tutti Insieme Associazioni Malattie Orfane), ha visto la partecipazione di 160 persone ed è stata un’occasione di incontro e di aggiornamento scientifico per medici, insegnanti, operatori sanitari e familiari di persone affette da autismo, malattie rare, e in particolare la sindrome di Rett.


È stato il dottor Giorgio Pini, direttore scientifico della Fondazione T.I.A.M.O., a salutare le autorità e a dare il benvenuto ai partecipanti. Tra questi Marcello Lippi, sostenitore della Fondazione, ha ricordato l’importanza della comunicazione con i bambini, in particolare quelli affetti da ritardo nello sviluppo cognitivo. Hanno poi parlato brevemente, sottolineando l’importanza dell’assistenza, della ricerca e dell’inserimento sociale, Marco Remaschi, Assessore Regionale all’Agricoltura, Catia Abbracciavento, dell’Ufficio Scolastico IX della Provincia di Lucca e Massa Carrara, referente dell’inclusione per la Regione Toscana, Umberto Quiriconi, Presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Lucca, Giorgio  Fazzini, Presidente della Fondazione T.I.A.M.O., e il dottor Michele Zappella, studioso dell’autismo, della sindrome di Rett e noto neuropsichiatra infantile.


Prima tra i relatori è stata la dottoressa Maria Luisa Scattoni, Ricercatrice e Coordinatrice dell’Osservatorio Nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità. È stata lei a illustrare gli studi sui disturbi dello spettro autistico in Italia, che colpiscono tra le 5 mila e le 8 mila persone (1 su 77, in linea con i dati internazionali) e di cui l’80 per cento sono di origine genetica. Scattoni ha poi sottolineato il ruolo dell’Istituto Superiore di Sanità nel monitoraggio dei centri regionali in cui sono stati attivati servizi mirati (la Toscana è una delle regioni all’avanguardia), nella formazione dei pediatri e del personale ASL, nella formalizzazione delle linee guide per i medici e nel miglioramento della comunicazione con i familiari. L’Istituto ha anche finanziato progetti per lo screening della popolazione ad alto rischio e per agevolare l’inserimento dei soggetti autistici nella società.

La dottoressa Domenica Taruscio, medico e Direttrice del Centro Nazionale delle Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità, ha ricordato la missione dell’Istituto come organo tecnico scientifico del Sistema Sanitario Nazionale. Le malattie rare sono diventate oggetto di studio dell’Istituto che ha un centro nazionale dedicato a queste patologie. Taruscio ha ricordato che l’Italia è ben inserita nelle reti di cooperazione internazionale, che coinvolgono 300 ospedali e 900 unità specialistiche in 26 paesi europei, ed è presente in 24 centri specializzati per patologia. Infine la dottoressa ha sottolineato l’importanza della medicina narrativa (ne ha parlato di recente anche Lancet Neurology), che raccoglie il vissuto dei pazienti e dei familiari e tiene conto del contesto sociale e culturale.

Il Dottor Giorgio Pini, neuropsichiatra infantile e fondatore del Centro di Riferimento Regionale per la malattia di Rett, si è soffermato sulle difficoltà diagnostiche della malattia di Rett (specie nelle forme atipiche, come la variante di Zappella), sulle diagnosi tardive,  sull’importanza della ricerca e del monitoraggio. In questo senso molte speranze sono riposte sull’uso di nuove tecnologie. In particolare il dottor Pini ha annunciato la disponibilità presso la Fondazione, di uno strumento (finanziato dalla Smurfit Kappa Foundation) in grado di aiutare le persone prive di parola a esprimersi attraverso il movimento degli occhi (Tobii EyeTracking).

La dottoressa Ilaria Gemo, neuropsichiatra infantile e Responsabile del Centro Rett dell’Ospedale Versilia, ha parlato della necessità di unificare le varie metodologie diagnostiche e di utilizzare un approccio multidisciplinare nell’assistenza.
La dottoressa Daniela Tropea, biologa, ricercatrice e Assistant Professor nel Dipartimento di Neuropsichiatria del Trinity College di Dublino, ha descritto lo stato attuale della ricerca sui biomarcatori genetici, molecolari e neurofisiologici, soffermandosi in particolare sulla valutazione della coordinazione dell’attività corticale che risulta di alta predittività del risultato di alcuni trial clinici. La studiosa ha descritto inoltre le difficoltà inerenti alla sperimentazione farmacologica con un numero relativamente piccolo di pazienti. Infine ha citato gli studi clinici con il IGF1 fatti col il centro Rett della Ospedale Versilia e quelli in corso con sostanze, come il trofinetide, utilizzate anche per altre malattie rare.

Il dottor Corrado Sessa, giornalista e padre di un ragazzo con autismo, ha portato la sua testimonianza, a partire dal senso di smarrimento e di abbandono dei genitori per finire alla lotta contro lo stigma. Parlando anche a nome della Onlus “l’Emozione Non Ha Voce”, Sessa ha poi descritto un’esperienza di ippoterapia con 15 pazienti autistici, che si è avvalsa anche della collaborazione di Mogol. Infine, per sottolineare l’importanza del lavoro fatto insieme ai pazienti e agli operatori, ha citato l’iniziativa promossa da una cooperativa agricola di Roma, che ha messo in piedi una serie di attività collegate al ciclo della terra e all’alimentazione.

In conclusione Carlo Gnetti, giornalista, Presidente dell’Associazione Volontari Ospedalieri (AVO) di Roma e fratello di un paziente con disturbi mentali, ha ricordato il rischio degli stereotipi e ha insistito sulla centralità della persona e sull’empatia, qualità essenziale per i familiari e per gli operatori sanitari. Infine Gnetti ha ricordato il ruolo fondamentale della legge 180 e dell’istituzione del Servizio sanitario nazionale, il cui quarantennale è stato celebrato due anni fa, nel cambiare l’approccio al disagio psichico e neurologico.

Il simposio, ideato e condotto dal Prof. Piero Antuono, Direttore del Dipartimento di Neurologia del Medical College of Wisconsin,  è stato un momento di verifica per coloro che si confrontano quotidianamente con bambini rari e/o con autismo. Alludiamo ai medici, agli insegnanti e ai genitori stessi che sono loro malgrado i veri esperti della malattia. Uno degli obiettivi del simposio è che, con le informazioni sulla ricerca e l’assistenza e lo scambio di idee e progetti tra relatori e istituzioni anche lontane, si possa abbattere lo stigma e – come accennato dal dottor Sessa – il senso di smarrimento e di angoscia che pervade la famiglia di bambini così impegnativi.


Sull’autismo e le malattie rare, pubblichiamo un interessante articolo di Carlo Gnetti che fa il punto sulla ricerca e sugli interventi socio-sanitari, apparso su Blog “SOS Sanità”, sito che si occupa delle politiche sociali e sanitarie.

Alla fine degli anni 90 il medico inglese Andrew Jeremy Wakefield lanciò un allarme, rivelatosi poi del tutto infondato, sulla correlazione fra autismo e vaccinazioni. Tale correlazione è stata derubricata tra le fake news che infestano la nostra epoca, e Wakefield è stato radiato dalla professione medica. Resta tuttavia il dato assai preoccupante che riguarda l’aumento dei casi di autismo tra i bambini: secondo le stime divulgate dall’Istituto superiore di Sanità l’autismo in Italia colpirebbe tra le 5 e le 8 mila persone (1 su 77 nuovi nati, in linea con i dati internazionali). L’incidenza sarebbe di 14,6 bambini su 1000 nati nel 2004, contro i 6,7 del ’92. Dunque, un trend decisamente in crescita.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità l’autismo non presenta caratterizzazioni precise dal punto di vista etnico o geografico ed è più frequente tra i maschi (il rapporto è di 4 maschi e una femmina). Negli Stati Uniti il numero di persone che presentano un disturbo autistico si aggira intorno ai 3,5 milioni. Nel mondo si arriverebbe addirittura a 60 milioni. È bene precisare che si tratta di stime approssimative, e che l’autismo (o meglio i disturbi dello spettro autistico, poiché parliamo di patologie differenziate e di natura complessa) comprende una serie di patologie difficilmente classificabili in modo omogeneo, un po’ come avveniva in passato con la schizofrenia e oggi con la depressione, divenuta una specie di ombrello onnicomprensivo che include malattie tra loro diversissime. Nell’autismo, infatti, sono comprese varianti come il ritardo mentale (oggi si preferisce chiamarlo disabilità cognitiva), la sindrome di Asperger (ne sarebbe affetta Greta Thunberg), caratterizzata da difficoltà di interazione e da attività limitate e ripetitive, la sindrome del cromosoma X fragile, la sindrome di Phelan McDermid, la sindrome di Rett, associata a mutazioni nel gene MECP2, che colpisce soprattutto le femmine ed è considerata un modello per lo studio di malattie del neurosviluppo, con le sue varianti (l’anomalia molecolare detta CDKL5 e la cosiddetta variante di Zappella, dal nome del medico e studioso italiano che se n’è occupato per primo), queste ultime collocate al confine fra autismo e un’altra serie di patologie di tipo motorio e neurologico.
In breve ci sono troppi “falsi positivi” che rispondono alle mode e a interessi extra clinici (può essere un affare l’autismo? Beh, in alcuni casi lo è). Inoltre bisogna tenere conto del fatto che i manuali diagnostici preferiscono puntare sulla valutazione della gravità piuttosto che sulla lettura dei quadri clinici sottostanti. Nell’ultima classificazione fatta dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM V), è rimasta la distinzione tra disturbo autistico lieve, medio e grave, ma non c’è più alcun accenno alla sindrome di Rett o all’Asperger. Il cambiamento dei criteri diagnostici associato ad altri fattori, come l’uso di test di screening e di valutazione più oggettivi (placebo, doppio cieco), sta migliorando il quadro rispetto al passato. Tuttavia, se fosse vera la componente genetica cara a molti studiosi, alcuni quadri clinici più specifici, come la sindrome di Rett e l’Asperger, andrebbero a sgonfiare questo calderone ipertrofico.
Comunque si continua a parlare di autismo come di un iceberg di cui si conosce solo la parte emersa, mentre l’enorme massa sottostante rimane in gran parte sconosciuta. A questo punto la domanda è: sono stati fatti progressi sulle cause della malattia e sulle cure? Un recente convegno che si è tenuto a Viareggio per iniziativa della fondazione Tiamo (Tutti Insieme Associazioni Malattie Orfane, di cui è direttore scientifico il neuropsichiatra infantile Giorgio Pini, già primario dell’ospedale Versilia, e che si avvale di un “testimonial” di eccezione come l’allenatore della nazionale italiana di calcio campione del mondo 2006 Marcello Lippi) ha fatto il punto sulla ricerca scientifica in questo campo e sulle misure di tipo medico e sociale avviate in Italia negli ultimi anni. Innanzi tutto va considerato che, quando si tratta di malattie rare, ovvero di un numero relativamente piccolo di pazienti, le industrie farmaceutiche e i centri di ricerca pubblici sono restìi a investire ingenti risorse. Tuttavia sono stati compiuti notevoli progressi con lo studio sui biomarcatori genetici, molecolari e neurofisiologici, e sulla valutazione dell’attività corticale in risposta ai farmaci. La dottoressa Daniela Tropea, biologa, ricercatrice e Assistant Professor nel Dipartimento di Neuropsichiatria del Trinity College di Dublino, ha descritto gli studi clinici sull’ormone Mecasermina (IGF-1, Insulin-like growth factor 1) fatti in collaborazione con il centro Rett dell’Ospedale Versilia, e quelli in corso con sostanze sintetiche, come il trofinetide, da utilizzare in pazienti affetti da sindrome di Rett o da altre malattie rare. “Questa ricerca – ha spiegato la dottoressa Tropea – è innovativa perché utilizza misure oggettive della funzione cerebrale per identificare la risposta al trattamento in un disturbo del neurosviluppo, mentre i risultati precedenti erano basati su pareri soggettivi. Lo studio identifica nuovi marcatori misurabili per la prognosi e la valutazione del trattamento della sindrome di Rett e dei disturbi correlati, diventando uno strumento prezioso per la salute pubblica”.
Sul piano degli interventi in campo sociale va ricordato che negli anni tra il 1969 e il 1975 è cambiato l’approccio culturale nei confronti dei portatori di handicap, e si sono gettate le basi dell’integrazione scolastica di bambini una volta destinati alla segregazione. In questo quadro si colloca la chiusura delle scuole speciali e differenziali. Un forte impulso, poi, è stato dato dall’istituzione del Servizio sanitario nazionale e dalla legge Basaglia nel 1978, che hanno concorso ad abbattere lo stigma e ad attenuare il senso di smarrimento e di angoscia delle famiglie. Molto resta tuttavia da fare per sostenere le famiglie e per diffondere la cultura della prevenzione. Un aspetto promettente, da questo punto di vista, riguarda l’uso delle nuove tecnologie. Il dottor Pini ha annunciato la disponibilità presso la Fondazione Tiamo di due strumenti acquistati grazie al finanziamento della Smurfit Kappa Foundation, in grado di aiutare le persone prive di parola a esprimersi attraverso il movimento degli occhi (Eye Tracking). Inoltre va salutato positivamente il ruolo crescente della medicina narrativa (ne ha parlato di recente anche Lancet Neurology), che raccoglie il vissuto dei pazienti e dei familiari e tiene conto del contesto sociale e culturale. Infine sono da apprezzare gli interventi in campo socio-sanitario per favorire l’inserimento dei pazienti affetti da autismo e l’integrazione scolastica degli alunni disabili, nella quale l’Italia vanta un primato tra i paesi Ue.
Appuntamenti come quello di Viareggio servono a consolidare la rete di cooperazione già operante in Italia. A titolo di esempio il Cnr, l’Istituto Superiore di Sanità, i servizi sanitari pubblici e molte associazioni si sono resi disponibili a mettere in campo le reciproche competenze per rispondere in modo sinergico ai bisogni dei ragazzi e delle loro famiglie. L’Istituto Superiore di Sanità, che ha messo in piedi un osservatorio nazionale sull’autismo, svolge già un ruolo concreto nel monitoraggio dei centri regionali dove sono stati attivati servizi mirati (la Toscana è una delle regioni all’avanguardia), nella formazione dei pediatri e del personale Asl, nella formalizzazione delle linee guide per i medici e nel miglioramento della comunicazione con i familiari. L’Istituto ha anche finanziato progetti per lo screening della popolazione ad alto rischio e per agevolare l’inserimento dei soggetti autistici nella società. In Versilia si sta formando un gruppo di studio e di lavoro dedicato in particolare ai pazienti Rett, che comprende insegnanti, operatori, volontari e ricercatori, mentre il Provveditorato agli studi sta preparando un vademecum sull’autismo da mettere a disposizione degli insegnanti. La dottoressa Domenica Taruscio, medico e Direttrice del Centro Nazionale delle Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità, ha ricordato che l’Italia è inserita nelle reti di cooperazione internazionale, che coinvolgono 300 ospedali e 900 unità specialistiche in 26 paesi, ed è presente in 24 centri specializzati per patologia. L’Europa fa la parte del leone, con una serie di bandi aperti a tutti gli operatori del settore e con un progetto transnazionale sulle malattie rare.
Tutto ciò può essere determinante, a condizione che non siano mai trascurate la centralità della persona e la parte che ciascuno può fare per migliorare la vita dei pazienti e delle famiglie. A Viareggio ha portato la sua toccante testimonianza Corrado Sessa, giornalista e padre di un ragazzo con autismo. Parlando anche a nome della Onlus “l’Emozione Non Ha Voce”, Sessa ha descritto un’esperienza di ippoterapia con 15 pazienti autistici, che si è avvalsa della collaborazione del paroliere Mogol (memore dei suoi trascorsi a cavallo assieme a Lucio Battisti). Infine, per sottolineare l’importanza del lavoro fatto con i pazienti e gli operatori, ha citato l’iniziativa promossa da una cooperativa agricola di Roma, che ha messo in piedi una serie di attività collegate al ciclo della terra e all’alimentazione.